Cinquecento



La Cinquecento del Babbo faceva parte di lui. Erano un tutt’ uno. L’ aveva scelta. Lei, e solo lei, lo accompagnava nei suoi “viaggi”, dal tabbaccaio, dal giornalaio, alla Conad, in comune, alle conferenze stampa, da me per venire a fare un saluto al suo nipotino. La Cinquecento era La Macchina, le altre, solo roba di poco conto. Ogni volta che ci diceva di essere stato fuori con la “cinquina”, ringraziavamo non si sa chi, per averlo fatto tornare a casa sano e salvo. Ogni viaggio era un’incognita, non solo per la scarsa affidabilità del mezzo (risalente agli anni ’60 circa), ma anche perchè l’ andamento calmo e quiete del suo guidatore, certo non ci faceva stare tranquille, dato il caotico traffico di oggi giorno.

Rigorosamente parcheggiata davanti alla sua abitazione, se per caso qualcuno gli faceva lo sgarbo di rubarle il parcheggio, erano guai. Ferito nel profondo, non aveva pace fino a che non poteva rimetterla nel posto che le spettava. Appena ci riusciva, l’ ignaro colpevole si prendeva, a sua insaputa, un bel “Vaffa”…

Una delle prime cose che mi dissero quando te ne sei andato, è stata proprio che non vedere la Cinquecento difronte a casa tua era strano, inconsueto, irreale. La Cinquecento c’ era sempre, e di conseguenza anche te. Una sorta di garanzia.

Oggi, dopo un anno di silenzio e solitudine, la tua Cinquecento finalmente ha trovato un nuovo “protettore”. Tuo genero Gabriele l’ ha rimessa in moto e portata con se, per sistemarla e perchè no, riutilizzarla! Lo spero con tutto il cuore, so che è in buone mani, e sapere che la potrò vedere viaggiare di nuovo per le strade di Prato, mi rallegra e mi da felicità!

Nel 2004 la Cinquecento fu rubata, fu un duro colpo, ma per fortuna venne ritrovata, seppur un pò ammaccata, pochi giorni dopo. Il Babbo ovviamente le dedicò una poesia che voglio condividere con Voi:

lunedì 25 Ottobre 2004

ELEGIA
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Bianca, da Re, la vesta:
purezza di colore,
interno di tepore,
contenuta armonia – di sommo bene.

Piccola pure. Al nero
avverarsi di notte,
ribaldo mormorio,
vegliata invan. Dal turpe

nascosto ladro, infame,
triste, nell’ occhio torvo,
appetita per brama,
s’aprì, vinta e negletta.

E fu chioccio singhiozzo,
l’ accensione molesta
per fili uniti assieme,
a produr la scintilla.

Or per terre lontane,
chissà per dove o quando,
di me le sovverrà,
l’ usata guida al passo.

Rimpiangerà, scommetto,
l’ andar per strade assieme,
soli, senza nessuno,
alla bella ventura.

Raffaello Pecchioli

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