Nella casa del padre

“Senza un perché, mi frugai in tasca.
sentii con la punta delle dita la dura pietruzza. Avevo dimenticato di avere con me l’ unica cosa che mi era rimasta di loro, l’ occhio di tigre. Ne provai sgomento, lo avvertii estraneo alla mia natura di uomo di mare, lo ritenni cosa cattiva, una specie di sortilegio cui, in un lampo di verità, imputai tutte le disgrazie che mi avevano colpito da quando, per volere di Nelly Casati, ne ero entrato in possesso. Mi alzai in piedi sulla barca, lo gettai lontano, nemmeno udii la caduta nel mare.
Ma fu allora che sentii alzarsi un canto per quella grande distesa d’ acqua e nel buio.
Diverso da ogni altro io avessi mai udito, era un canto composto da un insieme di memorie opprimenti e di abitudini non cancellate. Sentivo a pelo dell’ acqua i rflessi sonori di un rotolare di bussolotti legati con pezzi di spago; un frisio strusciante di ali azzurre di libellula; un muovere frenetico di zampe nere di formiche, mischiate ad un fremito di vento. Ma vidi anche un libro dal titolo illeggibile, un feticcio di donna a gambe divaricate; un berretto da marinaio con l’ ancora intrecciata alle funi e infine me stesso, ancora ragazzo, abbandonato e solo in mezzo ad un campo tra due filari di frassini, nell’ approssimarsi di una tempesta. Mi ci volle poco per capire che quel canto non decifrabile, proprio quello e non una voragine aperta nell’acqua, mi avrebbe ucciso. Lo avrebbe fatto, chissaà quando, in quale tempo e in quale luogo, con la forza distruttrice del veleno del più velenoso dei serpenti, dopo essermi entrato nel sangue ed avermelo fatto bollire. In un’ orgia di morte, seguita a una pazza allegria.”

da “Nella Casa del Padre” Raffaello Pecchioli

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