Compendio dell’opera scritto da Walter Nesti
“Il Topo” è un racconto visionario e reale a un tempo. La storia narrata è quella di un uomo che, per guarire da profonde ferite morali, si isola in una casa solitaria, tra i boschi. Qui ingaggia una lotta fatta di astuzie con un grosso topo, non per ucciderlo ma per dimostrargli, con la cattura incruenta, che il più forte è lui, l’uomo. Il narratore-autore non è però solo in quest’impresa: lo sostiene il fantasma di un bambino al quale racconta di libri famosi, “Moby Dick”, “L’Isola del tesoro”, “Il Libro della jungla”; gli parla di Jim e de “L’Admiral Benbow”, del rumore del treno, dell’oceano, dei mari della luna. Ma anche, e con intensi ricordi, del tempo di guerra. Con questo spirito che gli aleggia attorno, il narratore-autore torna ad essere il ragazzo che pensava di non essere più. Ma una strana presenza si avverte atorno alla casa: è quella di un uomo che in quell’antivigilia di Natale gonfia di vento, di freddo e col presagio della neve, vi si aggira furtivamente. La presenza dello sconosciuto inquieta lo spirito del bambino, fino a indurlo a scomparire quando l’uomo, a buio fatto, cerca e trova riparo nella casa. Fra i due uomini si avvia una conversazione che sembra avere il sapore della “veglie” di una volta, ma che in realtà è un diverso riproporsi della caccia al topo, una specie di duello dove il linguaggio, artatamente reinventato sull’impronta di una lingua toscana arcaica e ormai scomparsa, recita la parte essenziale. I sottintesi, le sfumature, i doppi sensi, diventano chiavi per giungere, grado a grado, con una maestrale miscelazione della suspence, allo scioglimento della vicenda. Ma la parte più magica, e allo stesso tempo più vera di tutto il racconto risiede nella rivelazione di una crudele verità che solo lo sconosciuto e il fantasma del bambino conoscono, e che l’autore riesce a disvelare dispiegando tutta la sua capacità di narratore, facendoci infine partecipi di segreti terribili e di speranze impensate.”
Carlo Zella
Narrato con uno stile che ne rivela la qualità della visione questo lungo racconto di Raffaello Pecchioli è attraversato da rumorose presenze naturali ed essenziali.
Queste si muovono furtive e nascoste facendosi percepire dal loro zampettio, così come fanno i topi, per emergere talvolta, con intermittenza, alla superficie: epifanie improvvise e illuminanti.
Spero che ogni lettore possa “sentirne” qualcuna avvicinarglisi, compenetrarlo e guidarlo verso un’uscita.
Io ci ho sentito il venti, la neve, la gioia scardinante di un bambino ritrovato.
“Il Topo” di Raffaello Pecchioli
Regia di Paolo Magelli, sul palco gli allievi della scuola del Metastasio:
un omaggio al poeta pratese recentemente scomparso.
Il 15 Giugno 2012 il Topo di Raffaello Pecchioli è andato in scena al Teatro Magnolfi a Prato. Lo spettacolo, con la regia del direttore artistico del Metastasio Paolo Magelli, è stata la prova di fine corso degli allievi della scuola di formazione per giovani attori “Il mestiere del teatro” ed è stato realizzato dal Metastasio in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune di Prato.
“Questo spettacolo è un doveroso e sentito omaggio a Raffaello Pecchioli – afferma Anna Beltrame, assessore alla Cultura del Comune di Prato – un grande poeta, che è giusto conoscere meglio”.
Raffaello Pecchioli è stato senza dubbio uno dei maggiori poeti toscani. Sono in pochi a conoscerlo perché ha vissuto una vita schiva, ma ha scritto migliaia di poesie e splendida prosa. ” Il Topo è un esercizio spirituale – spiega Paolo Magelli – E’ con questo spirito che abbiamo lavorato, mettendo in scena un romanzo che non ha dialoghi, cercando di raccontare quello che Raffaello ha raccontato di noi. Senza trucchi, solo con l’anima. È stata una sfida durissima”.