Scrive Pecchioli nel Quaderno ” E’ come un sole incandescente / la tua mano / sulla mia fronte . / Concedimi, / angelo mio, / già vicino alla morte, / di sollevarmi: / sul margine del dirupo, / andrò un momento / per le distanze necessarie, / al tuffo suicida”. Qui la volontà di farsi accanto al modello è chiara, così come si intende pura necessità poetica l’ incombere funesto. Infatti: ” Ecco, / va già meglio. / Ora potrai dormire, / ma ho paura degli incubi: / sognerai di certo / che stai per lasciarmi; / e soffrirai al risveglio, / anche non fosse vero”. Ma si fa torto a Pecchioli con lo sfiorare casualmente o quasi i versi, quando il quaderno esige di essere percorso interamente perché se ne possano afferare, sequenza su sequenza, i ritmi e le emozioni.
Di Pecchioli, come i lettori di questo giornale, so la cultura, la capacità di commentare i fatti, la sapienza dell’ ironia e della satira. E conosco molta della sua opera di letterato, da Il Patetico Fill che nel 1967 piacque a Mario Tobino, all’ Apollineire Morto del 1967 che a una rilettura si rivela antefatto a Quaderno rosso, fino al racconto Il Topo e al recente Nella Casa del Padre, al quale ben si attaglia la definizione hegeliana di romanzo come “moderna epopea borghese”, ordinato e avvincente nella struttura narrativa, meticoloso nell’ approfondimento dei personaggi. In tutti questi scritti ho visto trasparire, più o meno velato, il dato autobiografico, che nel quaderno rosso è esplicito. Capito spesso agli scrittori doversi mettere a nudo, quasi a voler asserire, e farsene garanti, una verità ricercata nelle pieghe della loro memoria, per scoprirvi, osservando e scavando nell’ autenticità di una vicenda umana, la strada della salvezza. Se queste esistono, solo un poeta, forse, può indicarcele.
Leopoldo Paciscopi, Il Giornale della Toscana