La stesura di questo libro – la cui pubblicazione è stata più volte rinviata – risale al 1965-66. A pubblicarlo l’ Autore si è deciso dopo un attento esame che gli è valso a spolemizzarlo ed a ridurlo a quella dimensione intenzionale che è, in definitiva, alla base dell’ opera: vorremmo dire una dimensione umanizzata di avvenimenti, fatti e personaggi che ad una superficiale lettura possono anche apparire aridi.
La storia narrata ha il suo centro fra gli impiegati di un ipotetico Comune, come avrebbe potuto avere identico svolgimento fra i lavoratori di un grosso complesso industriale o di un qualsivoglia ministero. Perché il discorso impostato dall’ Autore è più generale, non fa cardine su quell’ immaginario e fantastico Comune, ma su un’ altrettanto immaginario e fantastico “Istituto” che raccogli attorno a sé – generalizzandoli – impiegati, dirigenti, operai i quali alla fine si estrinsecano in un qualcosa di più ampio che l’ Autore cerca di identificare in una Umanità non particolare, bensì reale, oggettiva, tipica.
Il romanzo giunge infatti, attraverso la critica del mondo che esamina, a difendere proprio quegli elementi-individui che più acerbamente descrive, poiché essi sono particelle essenziali di un qualcosa di più grande che non può assolutamente perire.
I personaggi di quest’ opera lasceranno certamente sconcertato il lettore; ma si badi bene di non confondere – dietro l’ impressione immediata – l’ amore verso questa Umanità (un amore arcigno, rabbioso), con un odio voluto, compiacente. Pensate a quando il Personaggio del romanzo corre fra le braccia di On (una “donna con braccia di fiume”) come per abbracciare la Terra, compenetrarsi in essa, sentire che esiste e che deve sempre esistere anche se forze avverse e meschine si adoprano per distruggerla. Oppure rileggete le ultime pagine del romanzo dove si piange, in una nuova allegoria del “Cristo morto”, qualcosa che potrebbe non risuscitare veramente.
Sembra che il mondo di oggi distrugga e non crei, afferma l’ Autore; ma finchè si avrà la percezione della realtà del mondo, qualcosa ancora si muove in questo universo di sentimenti – fluido vitale – che non vogliono perire, pur schiacciati dall’ indifferenza o dalla burocrazia, dall’equivoco generalizzato o dall’ immanente apocalittica visione della fine di tutto, dallo scontro di idiologie o dalla ribellione spasmodica senza esito. E’ l’agitarsi dei questi sentimenti che ci fa sentire vivi e ancora capaci di riuscire a qualcosa; e se la ribellione ora non va al di là delle ginocchiate (come fa il personaggio del romanzo con B.C), c’è qualcosa che matura, lievita, prima o poi esploderà per restituire all’Umanità l’esatta coscienza dei propri sentimenti.
Riteniamo pertanto che le dimensioni delle varie storie che tessono questo forte ed omogeneo romanzo costituiscano un poema, cui il titolo stesso dell’opera si richiama, attingendo alla terminologia classica: un universo di sentimenti che, in quanto comuni, formano un monumento indistruttibile delle debolezze e delle forze umane più nascoste, ma più vive. E’ forse in questi temi ed azioni, fantasie ed emozioni che ognuno di noi troverà il proprio “io” messo a nudo con sviscerata sincerità e con crudo realismo.
Argomenti e mezzi difficilmente confutabili e per questo profondamente validi. In questo universo di sentimenti siamo tutti minuscoli nani, insignificanti gnomi. Ora pensiamo che la nostra storia abbia un suo poema in “Gnomiade”.
Riccardo Cecchini